
DECRETO IMMIGRAZIONE: EFFETTI DELL’ABROGAZIONE DELLA PROTEZIONE UMANITARIA E NOSTRE PROPOSTE DI RIFORMA
Cosa prevede il decreto
L’articolo 1 del decreto Salvini prevede che sia abolito il permesso di soggiorno per motivi umanitari ed ogni riferimento ad esso contenuti nel Testo unico sull’immigrazione (legge 286/98). Prima del 05/10/2018, data di entrata in vigore del citato articolo, la legge prevedeva che la questura poteva concedere un permesso di soggiorno per motivi umanitari ai cittadini stranieri che presentavano “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”, come ad esempio ai minori stranieri non accompagnati fortemente traumatizzati dal viaggio, alle donne con bambino che hanno subito torture e/o detenzione in Libia, a coloro cui nel loro Paese non viene garantita la dignità umana attraverso un livello di vita accettabile, ovvero alle persone che fuggivano da emergenze come conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti all’Unione europea. Nel 2017 l’hanno ottenuto per esempio molti giovani migranti provenienti da Gambia (da cui partono molti minori non accompagnati), Mali (al 144° posto del Global Peace Index nel 2018), Bangladesh (vittima di un misto di discriminazioni interne e di ricorrenti catastrofi ambientali). Questo tipo di tutela era stata introdotta in Italia nel 1998 ed era regolata dall’articolo 5 comma 6 del testo unico 286/98, il quale dava finalmente comunque attuazione al c.d. “asilo costituzionale”, previsto dall’art. 10, comma 3, della Costituzione, ai sensi del quale l’Italia deve riconoscere l’asilo a tutti coloro i quali nei Paesi di origine non sono riconosciuti i diritti e le libertà fondamentali riconosciute dalla nostra Costituzione. Al posto della protezione umanitaria, il decreto introdurrebbe la “protezione speciale” concedibile solo in caso di ricorrente dei divieti di espulsione previsti dall’art. 19 T.U. sull’immigrazione(D. Lvo n. 286/98) comma 1 (rischio di persecuzioni) e comma 1.1 (rischio di torture), difficilmente concedibili in quanto previsioni (rischio di persecuzioni e torture) che rientrano nello status di rifugiato e nelle protezione sussidiaria; permesso che una volta riconosciuto non dà diritto all’accoglienza, né alla conversione in permesso di soggiorno per lavoro. Altre fattispecie invece, rientreranno nelle ipotesi di permessi di soggiorno per “casi speciali”, come i casi di stranieri che versano in condizioni di salute di “eccezionale gravità”, ovvero che fuggono da calamità naturali. Rimangono totalmente privi di tutela, dunque, casi come quelli sopra citati dei minori stranieri non accompagnati fortemente traumatizzati dal viaggio, alle donne con bambino che hanno subito torture e/o detenzione in Libia, a coloro cui nel loro Paese non viene garantita la dignità umana attraverso un livello di vita accettabile, nonché rimarranno privi di tutela tutti questi casi per i quali la nostra Carta fondamentale impone di concedere l’asilo politico.
Cosa è accaduto finora
Negli ultimi 10 anni (2008-2017) più di 100mila richiedenti asilo hanno ottenuto il permesso umanitario che ha consentito loro di continuare a vivere e lavorare regolarmente in Italia. Solo nel 2017, su circa 81mila domande esaminate in Commissione, più di 20mila hanno avuto per esito la proposta della protezione umanitaria. Molti di essi sono stati inseriti in un progetto SPRAR, tanto che rappresentano ora circa il 30 % delle presenze all’interno dell’intero sistema, all’interno del quale godono degli stessi diritti e degli stessi servizi dei protetti internazionali. Tra di loro ci sono ad esempio molte donne sole, anche con bambini piccoli a carico, e quasi tutti i neo-maggiorenni che sono arrivati da minori stranieri non accompagnati e che sono passati da una comunità per minori al progetto SPRAR.
Quale sarebbe l’effetto del decreto
Contrariamente a quanto propagandato dall’attuale Governo, l’abrogazione della protezione umanitaria porterà a maggiore irregolarità e ad un sicuro incremento della marginalità sociale, e conseguentemente della criminalità, creando un grave problema di sicurezza per tutti. Ciò perché restringendo i casi per i quali è possibile dare la protezione (calpestando la costituzione e l’umanità degli esseri umani) tantissimi migranti non potranno regolarizzare il loro soggiorno in Italia, con la mostruosa aggravante che, contrariamente agli slogan demagogici del responsabile del Viminale, tutti i diniegati divenuti irregolari non potranno neanche essere rimpatriati forzatamente nei Paesi d’origine, in quanto attualmente l’Italia non ha accordi per il rimpatrio con i principali Paesi di provenienza dei richiedenti asilo, e senza accordi per il rimpatrio sarà impossibile espellerli, costringendo quindi un numero impressionante di essere umani a vivere come randagi sul territorio dello Stato, con annessi gravi problemi di sicurezza per italiani e stranieri; e anche se ci fossero accordi per il rimpatrio si ricorda che l’attuale Ministro dell’interno ha dichiarato pubblicamente che gli irregolari attualmente in Italia (circa 500.000) ci vorrà 80 anni per rimpatriarli: lascio al lettore fare i conti su quanti anni ci vorranno in più, rispetto agli 80 anni già stimati, per espellere anche i nuovi irregolari creati dalla riforma in commento. Si noti anche, in materia di sicurezza, che le ricerche rivelano che la regolarità abbatte il tasso di criminalità tra gli stranieri: come emerge dalla ricerca dall’economista della Bocconi Paolo Pinotti, gli stranieri che ottengono il permesso di soggiorno sono del 50% in meno propensi a commettere reati economici gravi (furti, rapine, spaccio) rispetto a chi non ha potuto mettersi in regola. Gli stranieri regolari invece hanno dati di criminalità in linea con gli italiani, mentre crescono drasticamente tra chi è senza permesso.
Cosa propone EuropAsilo
A livello nazionale, la protezione umanitaria va assolutamente mantenuta. È uno strumento di garanzia, legalità, integrazione che tutela i migranti e allo stesso tempo le comunità che li ospitano. La convertibilità dei permessi di soggiorno umanitari in permessi di lavoro ha consentito la stabilizzazione e l’inserimento socio-economico di migliaia di persone. Nostri vicini di casa, colleghi, genitori dei compagni di classe dei nostri figli. Cittadini e contribuenti come tutti noi. Basta aprire le porte di Tandem, progetto di co-housing tra giovani italiani e giovani migranti per scoprire che sono quasi tutti titolari di protezione umanitaria che dopo un anno escono dal progetto portando con sé un più forte senso di appartenenza, contratti di lavoro più stabili e nuovi amici italiani. Non c’è motivo di privare il Paese di uno strumento che tra l’altro è diffuso in molti altri Stati europei, tra cui Malta, Germania, Olanda, Finlandia, Svezia, Danimarca e Regno Unito.
Nel breve periodo, è importante informare tutti i titolari di protezione umanitaria dell’alta probabilità che i loro permessi non vengano rinnovati (in questi mesi la stretta sui rinnovi si era già fatta sentire) e anche per questo è necessario facilitare il più possibile la conversione in permessi per lavoro, per chi ne ha la possibilità. Ovvero chi ha un contratto di lavoro, anche a tempo determinato, che assicuri risorse economiche sufficienti (non inferiori all’importo annuo dell’assegno sociale, pari a € 5.889,00 per il 2018), una dichiarazione di ospitalità o residenza (possibilmente in un luogo ad una distanza verosimile dal luogo di lavoro), e in assenza di condanne ostative ed espulsioni pregresse.
A livello europeo, la protezione sussidiaria va riformata ed estesa. Come già argomentato da Gianfranco Schiavone, vice presidente di ASGI, nell’ultimo Rapporto Migrantes sul Diritto d’asilo, la vigente nozione di “danno grave” prevista dal diritto dell’Unione non fornisce risposta a una molteplicità di situazioni individuali che non possono semplicisticamente essere ignorate o identificate a libere scelte di cambiamento della propria condizione di vita. Lo si vede in modo lampante in tutti i numerosi casi nei quali l’individuo fugge da una situazione di disordine, di grave instabilità politica e da violazioni dei diritti umani fondamentali che ancora non ha assunto le caratteristiche specifiche del conflitto armato interno (e che difficilmente può essere ricondotta al timore fondato di persecuzione ai sensi della Convenzione di Ginevra), ma che comunque ha già inciso in maniera grave sulla vita e la sicurezza di quell’individuo. O ancora lo si vede nella situazione di coloro che, migrati spesso da molto tempo dal loro paese, si trovano in situazioni di seria vulnerabilità e non possono più fare ritorno anche perché hanno perso ogni effettivo legame con il contesto di origine, sono rimasti privi di sostegni famigliari e il loro rientro li esporrebbe a situazioni disumane e degradanti.
Devono essere promosse vie di ingresso legali, sia per i rifugiati (corridoi e visti umanitari, reinsediamenti, facilitazione ai visti per ricongiungimento familiare e studio), sia per i migranti per lavoro. In generale è assolutamente auspicabile che siano riaperte in modo sistematico delle quote di flussi in ingresso che rispondano alle reali esigenze del mercato del lavoro italiano, oltre che alle aspirazioni di chi è risoluto a migrare dal proprio paese. Evitare i rischi per l’incolumità e l’indebitamento mostruoso cui sono sottoposti i rifugiati e gli altri migranti che cercano di arrivare in Italia renderebbe più umano e dignitoso il loro viaggio e l’insediamento nel Paese di destinazione, e allo stesso tempo li libererebbe da quel cappio che impone di ripagare – il prima possibile e a ogni costo – cifre insostenibili che espongono i neo-arrivati a condizioni protratte di ricattabilità e sfruttamento. Se si intende davvero contrastare le reti criminali di trafficanti di esseri umani, fuori e dentro il nostro Paese, e abbattere il livello di criminalità, la soluzione non è ridurre i diritti e aumentare la marginalità e l’opacità sociale, ma rendere più trasparenti, più verificabili e più garantiti i percorsi di immigrazione e di integrazione.