EFFETTI DELLO SMANTELLAMENTO DEL SISTEMA PUBBLICO DI PROTEZIONE

Cosa prevede il decreto

Il decreto prevede uno svuotamento progressivo dello SPRAR, il sistema di protezione pubblico per richiedenti asilo e rifugiati che lo stesso Ministro Salvini in una relazione ufficiale del 14 agosto aveva definito “un ponte necessario all’inclusione”. Nello SPRAR – che cambia nome e natura – dal 05/10/2018, giorno di entrata in vigore del decreto, potranno entrare solamente i titolari di protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria) e i minori stranieri non accompagnati. Esclusi i richiedenti asilo, che troveranno invece accoglienza con servizi assistenziali minimi all’interno dei Centri di accoglienza straordinari, d’ora in poi elevati a strumento “ordinario”. Sono esclusi anche i titolari di protezione umanitaria, ormai abrogata, sempre dal citato decreto legge. Sono infine esclusi i titolari di “protezione speciale”, la nuova categoria nella quale rientreranno coloro che rischiano persecuzioni e torture nei Paesi di origine. Rientreranno invece a titolo temporaneo ed in attesa di accedere “a sistemi di protezione specificamente dedicati” i titolari di permessi di soggiorno per casi speciali quali: titolari di protezione sociale, titolari di protezione sociale in quanto vittime di violenza domestica, vittime di grave sfruttamento lavorativo, chi ha bisogno di cure mediche perché si trova in uno stato di salute gravemente compromesso, chi proviene da un paese che si trova in una situazione di “contingente ed eccezionale calamità” ovvero chi si è distinto per atti di particolare valore civile. Un sistema quindi a esaurimento, sia perché una volta che i richiedenti asilo e gli umanitari già presenti finiranno il loro progetto non saranno sostituiti da nuovi ingressi della stessa tipologia, sia perché si esaurisce l’esperienza del sistema unico di accoglienza integrata e diffusa attraverso tutte le fasi della procedura: dalla presentazione della domanda di protezione fino al compimento del percorso di integrazione e cittadinanza.

Cosa è accaduto finora

Nei sedici anni della sua esistenza, lo SPRAR si è enormemente rafforzato passando da alcune decine di comuni coinvolti e meno di duemila posti di accoglienza nel 2002, ai circa 877 progetti a luglio 2018, realizzati in collaborazione con gli enti locali (653 comuni, 19 Province, 28 Unioni di Comuni e 54 altri enti per un totale di 1200 comuni coinvolti), per un totale di 35.881 posti finanziati.

In ragione dei suoi successi nel gestire l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati in modo ordinato con capacità di coinvolgimento dei territori, lo SPRAR è sempre stato considerato da tutti i governi di qualunque colore politico il fiore all’occhiello del sistema italiano, da presentare in Europa in tutti gli incontri istituzionali.

Il presupposto giuridico su cui si fonda lo SPRAR è tanto chiaro quanto aderente al nostro impianto costituzionale: nella gestione degli arrivi e dell’accoglienza dei migranti, allo Stato competono gli aspetti che richiedono una gestione unitaria (salvataggio, arrivi e prima accoglienza, piano di distribuzione, definizione di standard uniformi), ma una volta che il migrante ha formalizzato la sua domanda di asilo la gestione effettiva dei servizi di accoglienza, protezione sociale, orientamento legale e integrazione non spetta più allo Stato, che non ha le competenze e l’articolazione amministrativa per farlo in modo adeguato, ma va assicurata (con finanziamenti statali) dalle amministrazioni locali, alle quali spettano in generale tutte le funzioni amministrative in materia di servizi socio-assistenziali nei confronti tanto della popolazione italiana che di quella straniera.

Lo SPRAR (gestito oggi da Comuni di centrosinistra come di centrodestra) ha assicurato una gestione dell’accoglienza concertata con i territori, con numeri contenuti e assenza di grandi concentrazioni, secondo il principio dell’accoglienza diffusa, di buona qualità e orientata ad inserire quanto prima il richiedente asilo nel tessuto sociale. Grazie alla continuità dell’accoglienza, i progetti individualizzati sono stati realizzati con il protagonismo degli stessi rifugiati, supportati un’equipe multidisciplinare qualificata, con ricadute positive sia per gli accolti, che per i territori: un volano di sviluppo locale grazie al miglioramento del livello dei servizi e ai finanziamenti di cui ha beneficiato – se pur indirettamente – tutta la comunità.

Inoltre lo SPRAR ha assicurato un ferreo controllo della spesa pubblica grazie all’applicazione del principio della rendicontazione, in base alla quale non sono ammessi margini di guadagno per gli enti che gestiscono i servizi. Invece, da oltre un decennio, il parallelo sistema di accoglienza a diretta gestione statale-prefettizia, salvo isolati casi virtuosi, sprofonda nel caos producendo un’accoglienza di bassa o persino bassissima qualità con costi elevati, scarsi controlli e profonde infiltrazioni della malavita organizzata che ha fiutato il potenziale business rappresentato dalla gestione delle grandi strutture (come caserme dismesse, ex aeroporti militari).

Quale sarà l’effetto del decreto

La fine del sistema unico di accoglienza e tutela per richiedenti asilo e titolari di protezione, che aveva avuto un sviluppo positivo soprattutto negli ultimi tre anni, rappresenta un danno enorme non solo per le persone che cesseranno di averne diritto, ma anche per le istituzioni e le comunità locali.

Per i richiedenti asilo vorrà dire vedersi drasticamente restringere i servizi a disposizione per il loro percorso di protezione e inserimento sociale, proprio nella fase di maggiore vulnerabilità (venir meno della tutela legale e dei servizi per l’integrazione, negazione della residenza, inserimento in grandi centri collettivi isolati). La cancellazione di queste possibilità, unitamente alla riduzione dei finanziamenti per i centri che accoglieranno i richiedenti asilo, creeranno proprio quei “casermoni” con i richiedenti asilo che “bighellonano”, contrariamente agli slogan del responsabile del Viminale che dice, a parole, di voler proprio contrastare ciò.

L’esclusione dei titolari di permessi per protezione speciale – che non avranno diritto a nessuna forma di accoglienza – vorrà poi dire che le persone più fragili e vulnerabili non avranno accesso a un adeguato supporto socio-assistenziale, né a percorsi per il loro inserimento, tutti aspetti aggravati dalla non convertibilità del loro permesso “speciale” in permesso per lavoro.

Per gli enti locali e per i servizi socio-sanitari ciò comporta un aggravio degli oneri a loro carico, senza che vi sia un corrispondente investimento né in termini di competenza, né in termini finanziari. Persone inespellibili, bisognose di cure o di supporto sociale, che non potranno più beneficiare della positiva sussidiarietà circolare attraverso cui lo SPRAR, per mezzo degli enti di terzo settore, si integrava ai servizi territoriali già esistenti.

Al netto di uno SPRAR ridotto ai minimi termini esclusivamente per i protetti internazionali, rimarrà solo la privatizzazione dell’accoglienza nei centri straordinari per richiedenti asilo, senza che sia previsto programmaticamente un raccordo con il welfare e gli enti territorialmente competenti. Una perdita – oltre che economica – anche di regia e controllo a danno nelle istituzioni locali.

Cosa propone EuropAsilo

Nello SPRAR devono continuare a esserci sia i richiedenti asilo che i titolari di protezione, come sistema unico. Uno SPRAR solo per i rifugiati perde la sua logica di gestione territoriale, che è ciò che lo ha reso un sistema efficiente e razionale.

I Centri straordinari, eredità di un approccio emergenziale con cui già in passato lo Stato italiano aveva affrontato il fenomeno dell’immigrazione, non devono diventare lo strumento ordinario attraverso cui si affronta la gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo. Al contrario si deve procedere con maggiore decisione ed efficacia al superamento dei Centri straordinari, in favore dell’affermazione del sistema pubblico dello SPRAR, come già sancito dal Decreto 142/2015.

Auspichiamo in prospettiva un processo di riforma complessiva delle competenze in materia di gestione dell’accoglienza e dell’integrazione. Richiedenti asilo e rifugiati non sono questione di sicurezza e di ordine pubblico e pertanto il Ministero dell’Interno dovrebbe cedere le sue competenze in favore di altri Ministeri competenti, in particolare il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e della Salute. Anche il ruolo delle Regioni dovrebbe essere rafforzato, soprattutto per quel che riguarda le politiche sanitarie e di inclusione sociale e lavorativa, dentro una logica di programmazione ordinaria. Solo così, a livello territoriale, l’accoglienza e l’integrazione possono entrare nelle competenze dirette del welfare universalista, di cui lo SPRAR rappresenta un tassello dell’ordinaria pianificazione delle politiche sociali, al fine di costruire un sistema integrato di interventi e servizi, così come previsto dai Piani distrettuali di zona.

Lungo questa articolazione che dal livello nazionale, a quello regionale, fino a quello locale sviluppa competenze e assegna adeguati fondi in una logica di sussidiarietà, si potrà dare attuazione anche all’anello finora più debole dei percorsi di tutela dei rifugiati, ovvero le politiche di integrazione: il Piano nazionale di integrazione varato lo scorso settembre 2017 costituisce in questo senso solo un primo accenno, timido e insufficiente, che va sviluppato in linea con quanto già avviene in molti altri paesi europei.